Il 27 giugno 1544, dopo aver saccheggiato Ischia e Procida, il temibile corsaro Kair-Al-Din, in occidente conosciuto come Ariadeno “Barbarossa” per il colore della barba, volse la sua flotta contro Amalfi e Salerno…
Conoscendo la fama di Barbarossa parte dei Salernitani fuggirono nelle campagne vicine, altri si riversarono nella cattedrale per supplicare l’intervento di San Matteo. Gli Amalfitani fecero altrettanto, chiedendo aiuto al loro protettore Sant’Andrea.
Si tramanda che i due Santi, accogliendo la supplica del popolo, apparvero nel cielo del golfo e scatenarono una terribile tempesta che disperse la flotta nemica, facendo affondare parecchie navi.
«…l’Apostolo con sommo prodigio accorse in difesa», tramanda Matteo Camera nella Istoria della Città e della Costiera di Amalfi, 1836 «…e mentre in quel solstizio dell’està(te) sereno era il giorno ed il mare lieto e tranquillo, suscitasi fiera ed orribile tempesta. Nelle dense nuvole mugge orribilmente il tuono, succede dirotta pioggia, e sterminati cavalloni avvolgendo da per ogni lato le navi barbaresche l’una contro l’altra urtandosi e disperdendosi son poste tutte nel più orribile disordine…»
A Salerno, invece, pare che in quella occasione San Matteo proferì la famosa frase “Salerno è mia: io la difendo”, e che i due leoni di pietra a guardia del Portale d’ingresso all’atrio del Duomo, presero vita per scacciare gli invasori.
Da quel giorno, ogni anno il 27 giugno, ad Amalfi si festeggia il “patrocinio di Sant’Andrea”, a ricordo dello scampato pericolo e a rinnovare l’alleanza tra il popolo amalfitano e il suo santo protettore.
A Salerno, invece, in seguito a quell’evento si decise di inserire la figura dell’Evangelista nello Stemma della città (anche se qualcuno rivendica l’inclusione dell’effige a molto tempo prima: un mistero da chiarire!). Quanto alla festa, poi, continuò a svolgersi fino a qualche anno dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.

Alla luce degli eventi sopra descritti, senza timore di smentita potremmo definire quello del 27 giugno 1544 un “miracolo a quattro mani”. Sebbene secondo alcuni storici, ci sarebbe anche l’intervento di Santa Trofimena…ma questa è un’altra storia! Torniamo ad Amalfi…
Un dipinto di Ottavio Deliani della fine del secolo XVII, collocato sulla porta della navata destra del duomo di Amalfi, raffigura il prodigioso evento.
In primo piano, con la tunica verde e rossa, si vede San Matteo, mentre Sant’Andrea è in azzurro, raffigurato a sinistra con la croce decussata.
Da quel dipinto è stato tratto il più famoso “Quadro di Sant’Andrea”, un panno dipinto dall’artista amalfitano Ignazio Lucibello che, come da tradizione, viene issato in Piazza Duomo il 13 Giugno, in occasione delle sosta in cattedrale della statua di Sant’Antonio da Padova.
Ma la prova tangibile di quel miracoloso evento è custodita nel Museo del Duomo.
Si tratta della cosiddetta “falca”, una tavola sovrapposta al capo di banda delle piccole navi, appartenuta ad una galea veneziana (oppure genovese) del XV secolo che, razziata dal pirata nel corso di una delle sue innumerevoli imprese, entrò a far parte della flotta corsara che fu diretta contro Amalfi.
Pare che un’onda di inaudita violenza sventrò la nave e andò a depositare la preziosa tavola sulla spiaggia, dove venne raccolta e custodita per secoli dalla famiglia Proto di Amalfi.
La falca è pregevolmente intarsiata con un corteo di puttini, tritoni, ippocampi e tori marini che si aggrovigliano tra le onde intorno alla figura di Amphitrite, la Nereide Halosydne , cioè “allevata dal/nel mare”, che andò sposa di Poseidone i dio del mare…
Secondo altri autori classici, quali Esiodo e Apollodoro, Anfitrite è la dea “delle onde che si infrangono”: a volte il destino è scritto nel nome. Non c’è che dire!